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Bipolarismo o grande coalizione, la nostra classe dirigente resta inconcludente

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di LUCA MARTINELLI – Ormai non resta che rassegnarci a un fatto molto semplice. Che governino da soli o in coalizione, che abbiano una maggioranza risicatissima (quasi “sexy”) o ampia, che siano di destra o di sinistra (qualunque cosa questo voglia ancora oggi significare), non c’è dubbio su quale sarà il risultato finale dell’azione di Governo: il niente, il nulla, lo zero assoluto. Se va bene.

Come fa correttamente notare Diego Menegon nel suo articolo di stamattina, le speranze che nutriamo a ogni cambio di Governo vanno regolarmente deluse. Per i motivi più vari: perché la situazione è peggio di quella che si pensava, perché le cose non vanno come devono, perché non c’è la coesione necessaria a far passare certe risorse, perché quelli che stendono le proposte sono sempre gli stessi da trent’anni, perché [inserire motivo a scelta].

Questa patologia la conosciamo troppo bene: ogni riforma che si rende necessaria si deve fare da almeno vent’anni e, per questo motivo, viene fatta nella totale emergenza, con norme raffazzonate e inadeguate, se non già superate dai fatti. Oppure con norme draconiane e per nulla graduali. Tre anni fa, per fare un esempio, l’Unione Europea ci ha definitivamente imposto di parificare l’età di pensionamento per uomini e donne perché “ingiustamente favorevole alle donne”. La commissaria Reding disse (non con queste esatte parole, ma il senso era quello) “sono vent’anni che ve lo stiamo dicendo, avete avuto tutto il tempo del mondo, ora entro due mesi accelerate i tempi di transizione o vi deferiamo alla Corte di Giustizia”.

In realtà, in questi ultimi tempi, stiamo assistendo a un periodo di stasi ancora più grave: perché dopo la caduta del Governo Berlusconi IV, pare che le uniche riforme possibili siano solo e unicamente quelle che portano a un aumento della pressione fiscale ai nostri danni. Non si riesce nemmeno più a impedire gli aumenti dell’IVA, al massimo a rimandarli di qualche mese – a prezzo dell’aumento di altri bolli e imposte una tantum, le più recessive.

L’abolizione delle decine di Ordini professionali, associazioni di stampo medievale che infestano il mercato del lavoro? Tutti d’accordo (a parole), Monti era quasi riuscito a farcela. Pareva che ad agosto 2012 sarebbero spariti, se non fossero stati in grado di “auto-riformarsi”. Non si sono mai “auto-riformati”, ma stanno sempre là.

La spending review? Tutti d’accordo (a parole), anche qui pareva fosse finalmente possibile raggiungere dei criteri chiari e definiti di spesa. Bondi pareva l’uomo giusto al posto giusto. Non è stato tagliato un euro e, se è stato tagliato, la gente comune non se n’è accorta.

Le riforme costituzionali? Qui non sono tutti d’accordo, ma su pochi punti (il superamento del bicameralismo perfetto, la riduzione dei parlamentari e qualche altra minuzia) c’era la speranza di concordare delle misure. Se ne parla da tre decenni, ma siamo riusciti solo a far rientrare i Savoia in Italia, ad abolire definitivamente la pena di morte e a legarci definitivamente le mani con l’assurdità di porre il pareggio di bilancio in Costituzione. Le cose importanti non sono state toccate.

La legge elettorale? Per carità di patria, la cito soltanto.

L’ultima “novità” è che il PDL – nel chiaro tentativo di mettere i bastoni fra le ruote, piuttosto che di contribuire fattivamente al risanamento del Paese – chiede che si metta in discussione il Titolo IV della Parte II della Costituzione. In sostanza, torna al centro la questione giustizia, guarda caso dopo l’ennesima sentenza di un caso relativo a Silvio Berlusconi. E subito si torna a parlare di voto anticipato.

Non che l’inconcludenza riguardi solo destra e sinistra. Il Movimento 5 Stelle è stato, nel suo genere, il più grave esempio di quanto sia irriformabile il Paese. Parevano pronti a spaccare il mondo, o quantomeno a rivoltare il Parlamento da capo a piedi. Si sono improvvisamente messi a litigare fra loro, come e peggio di quella stessa classe politica che loro stessi criticavano – e nemmeno per motivi politici, ma per un paio di scontrini o mentre facevano a gara a chi è più fedele al Capo.

In questo senso, parrebbe quasi ormai ragionevole rassegnarsi a un fatto: non si tratta di un problema relativo al bicameralismo perfetto, al porcellum o al fatto che siamo una repubblica parlamentare. È un problema più profondo, è un problema che riguarda proprio noi italiani, che da un lato speriamo sempre nella “ciorta” (termine napoletano che indica la “fortuna”, la “buona sorte”) nella forma di una classe dirigente che risolva finalmente i nostri problemi, che però dall’altro lato non siamo in grado di selezionare con accortezza, pronti come siamo a correre dietro a chi ci promette la Luna e le stelle – per poi farcele vedere, ma in altro modo.


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